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28°
CONVEGNO NAZIONALE
31
ottobre - 4 novembre 2007
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CRONACHE E INTERVISTE |
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31 OTTOBRE
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Cronaca di Roberta Leone
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21:00
Comincia con una veglia presieduta dal Custode del Sacro Convento, fr.
Vincenzo Coli, la 28a edizione di Giovani verso Assisi, il convegno che
ogni anno porta nella città del Poverello giovani
– francescani e non – da ogni parte
d’Italia. Tema di quest’anno, il brano dal vangelo
di Matteo: “Beati gli operatori di pace, perché
saranno chiamati figli di Dio”. Nel clima di raccoglimento
creato per loro in una Basilica Inferiore disseminata, per
l’occasione, di cuscini e popolata da più di
duemila ragazzi, dà il via alla riflessione dei quattro
giorni di incontro l’invito accorato di p. Coli a saper
cercare la pace attraverso le vie della giustizia, verità,
solidarietà, libertà.
I quattro fondamenti della pace che papa Giovanni Paolo II aveva
indicato nell’enciclica Pacem in terris
tornano con forza parlare alle coscienze, nella città che lo
stesso papa ha reso simbolo del dialogo, con i due storici incontri
interreligiosi dell’86 e del 2002. “Non abbiate
paura. La pace è possibile” è la
conclusione del superiore della comunità dei frati del Sacro
Convento. Parole di incoraggiamento, che sembrano dare eco alle tante
voci dei ragazzi incontrati fino a quel momento: per Gennaro, 24 anni
“la pace è quel che ci dona libertà,
armonia verso noi stessi, verso la creazione, verso Dio. E la presenza
di Francesco, che è un maestro di pace, è un
aiuto in più per comprendere ciò che è
veramente importante nella vita, al di fuori di tante
futilità: l’amore e la libertà sono la
base e l’apice di tutto”. Per Gianluigi, 17 anni,
arrivato ad Assisi con alcuni amici: “questi giorni sono
un’esperienza magnifica: si fa subito gruppo, si sta insieme
agli altri, si canta con loro, si gode la bellezza di questi luoghi, di
questa splendida basilica, tutto con molta semplicità.
Quest’anno – il secondo per me qui al Convegno -
vorrei trovare prima di tutto pace con me stesso. E Assisi, anche in
soli cinque giorni, sa ridarti la libertà, la
pace”.
Michela e Teresa sono due amiche, entrambe 23 anni, entrambe di Imola.
Michela è al suo settimo convegno: “Cosa mi
aspetto da questi giorni? Non di trovare la pace, ma di capire un poco
cos’è per sapere dove andare a cercarla. La pace
– per quello che ho imparato nella mia esperienza –
è decidere di amare anche quando si fa fatica”.
Teresa è alla terza esperienza ad Assisi, invitata da
Michela: “In questi giorni cercherò un
po’ di pace per me, per poterla portare nei luoghi della
quotidianità - a lavoro e in famiglia - dove si fa sempre un
po’ di fatica”. “Cosa è in
grado di togliere la pace?” le chiediamo. “Nel mio
caso – risponde - non sentirsi di fare la strada che il
Signore vuole per te, sentire che quello che fai non ti dà
pace, equilibrio. Ma Francesco spiazza, in tutti i sensi: per cui lui,
che è stato un uomo di pace, può aiutarmi ad
imparare la pace”.
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1 NOVEMBRE
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Cronaca di Roberta Leone
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Ore 9.
“Dov’è la felicità?
Dov’è la perfetta letizia? Non è nel
consenso, non è nelle cose..” Apre con un tema
caro alla tradizione francescana l’intervento di mons.
Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia
e della Pace. Nelle parole del relatore, Francesco trova la
felicità nel perdere tutto, perché ha tutto. E il
tutto è Dio. E – aggiunge – in questa
perfetta letizia sta anche la sua pace. In altre parole, la pace non
è che una manifestazione di Dio, da cercare, da interrogare,
da paragonare al Dio uno e trino.
La Trinità, la relazione d’amore tra le tre
persone che fanno la sostanza di Dio, spiega la vera natura della pace.
La spiegano le due nature di Cristo: la pace – dice mons.
Crepaldi – nasce nella categoria delle relazioni, e al di
fuori di questa categoria non può essere compresa.
“Pace è coltivare relazioni, e farlo
nell’amore”.
La Santa Messa, presieduta da mons.
Crepaldi nella Basilica Superiore, ha coinvolto i ragazzi sin dal primo
pomeriggio in una riflessione tutta volta al concetto di
santità: “La santità è
possibile,ed è un traguardo a cui è chiamato
ciascuno di voi”. Celebrando la solennità di Tutti
i Santi, Mons. Crepaldi ha invitato i giovani a “farsi amici
i santi”, coloro che sono passati alla storia per aver
vissuto eroicamente, senza sconti, la fedeltà al Vangelo.
Francesco, in questo, è l’esempio cui tutti
possono guardare. Al termine della celebrazione, l’Adorazione
eucaristica e, in serata, una veglia hanno chiuso le
attività di questo primo giorno di convegno.
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Internvista a don Niccolò
Anselmi
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Intervista a don
Niccolò Anselmi, direttore del Servizio Nazionale di
Pastorale Giovanile della Conferenza Episcopale Italiana.
di Francesca
Fialdini
Con un anno
dedicato al tema “Beati gli operatori di pace
perché saranno chiamati figli di Dio”, al Convegno
Giovani verso Assisi si torna a parlare ai giovani di giustizia e di
pace. Non c’è il rischio di proporre formule
astratte, espressioni generali che poco si adattano alla concretezza
della vita quotidiana?
Nell’intervento
di questa mattina, mons. Crepaldi ha detto una cosa interessante e
cioè che la pace nasce da relazioni vere, di amore. In un
certo senso vuol dire che la violenza, l’odio, la guerra,
nascono ogni volta che non ci parliamo e non ci incontriamo veramente;
quando viviamo come delle monadi, chiusi in noi stessi. Tragicamente,
questo comportamento è una delle caratteristiche
dell’uomo di oggi: la frammentazione, la
relazionalità di basso profilo, sfuggire al dialogo tra
singole persone, gruppi, partiti politici, parti sociali, governi
nazionali, è la normalità. Da qui nascono le
tensioni tra bande, correnti di pensiero, etnie. Tornare a parlarsi
è la via più interessante per provare anche a
vivere secondo giustizia e pace; è la provocazione da
raccogliere.
La vita di
Francesco d’Assisi per i giovani del duemila è una
proposta fuori dal tempo?
E’ la
prima volta che partecipo al Convegno Giovani verso Assisi.
Certamente queste strade, queste mura, queste case parlano di
interiorità, raccoglimento e semplicità come
forse da nessun’altra parte. Francesco, personaggio intero e
innamorato dell’amore di Dio, parla ancora perché
di fronte alla complessità di oggi suggerisce la via della
semplicità; ciò non significa diventare
“sempliciotti”, bensì essere unificati
dentro. Egli è senz’altro una figura molto
attuale.
Proprio questa
complessità, conseguenza anche della globalizzazione,
dell’innesto fra culture, usi e costumi, è il
contesto dei giovani di oggi. Fra le molteplici provocazioni cui sono
esposti, come possono cogliere la Bellezza?
Dobbiamo guardare
in chiave ottimistica la capacità dei giovani di cogliere
ciò che è bello. Anche di fronte ai tentativi
culturali in cui l’utile viene messo al primo posto rispetto
al bello, credo che sia possibile riuscire a vedere una
bontà oggettiva, quella che Dio ha messo in ogni cosa.
E’ lo sforzo che dobbiamo fare tutti: cercare di vedere la
presenza di Dio in ogni cosa, evitando le divisioni. In fondo
è l’insegnamento di Francesco: la presenza di Dio
pervade l’Universo anche nella complessità del
mondo attuale perché Dio è presente in
ciò che c’è di più bello
cioè l’uomo, la donna, la loro unione,
l’amore…Il bello continua ad esserci
perché Dio continua ad esserci.
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Intervista a mons. Crepaldi
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Intervista
a Mons. Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della
Giustizia e della Pace.
di Roberta Leone
Mons. Giampaolo Crepaldi
è segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e
della Pace. Nell’intervista a Korazym.org a margine del
Convegno Nazionale Giovani verso Assisi, il dialogo per la pace e lo
spirito di Assisi, il diritto alla libertà religiosa e il
ruolo civico dei cattolici in Occidente, tra chiusure e spinte
laiciste.
Mons. Crepaldi, oggi parla di pace
ad un’assemblea di duemila giovani riuniti ad Assisi per
parlare di pace. Quali speranze ha per loro?
“Sono
felicissimo di essere presente ad Assisi, con i 2000 giovani riuniti
dai frati minori conventuali per questo Convegno, e sono contento che
abbiano scelto la pace come argomento per il loro incontro. Ovviamente
Assisi è una città ideale per una riflessione
partecipata e approfondita sul tema della pace, innanzitutto
perché è la città di Francesco, che
è uomo di pace. In lui, che si converte e abbraccia il
Vangelo del Signore dopo la tragica esperienza della guerra, il frutto
della conversione non è la negazione dell’altro,
ma la sua riscoperta, soprattutto la riscoperta del più
povero. E direi che questi giovani, che hanno tutta la vita di fronte,
ben motivati sul piano della fede e di un progetto di vita, che si
ritrovano ad Assisi attratti da richiami forti – quello di
Francesco da una parte, il messaggio di Giovanni Paolo II e quello di
papa Benedetto XVI dall’altra - possono realmente coltivare
il messaggio evangelico scelto a tema di questo Convegno:
“Beati gli operatori di pace, perché saranno
chiamati figli di Dio.”
Assisi è città
della pace anche per lo “spirito” che Giovanni
Paolo II le ha riconosciuto. A che punto è la riflessione
sul dialogo per la pace e quali prospettive ha oggi?
“Senz’altro
questo è un significato strettamente collegato con
l’identità di Assisi: nel 1986 e nel 2002 Giovanni
Paolo II raduna qui i maggiori leader religiosi del mondo per una
preghiera comune per la pace. Direi che uno dei grandi temi attuali
della pace è la coltivazione del dialogo tra culture diverse
e religioni diverse. In giro si sente spesso affermare che le
religioni, anziché essere elementi o fattori di promozione
della pace, sono le cause scatenanti i conflitti. Molti, per negare
plausibilità pubblica alle religioni e mettere la sordina al
diritto alla libertà religiosa, usano l’argomento
delle religioni come “peccato originale”,
originante i conflitti. Si tratta di una visione distorta,
evidentemente ideologica. Una visione inaccettabile. Dobbiamo senza
dubbio riprendere quel filo rosso che ha avviato Giovanni Paolo II in
questa città: il filo del dialogo, della conoscenza e
dell’accoglienza reciproca. Le religioni devono acquistare un
ruolo pubblico e devono farlo giocando la carta della promozione della
pace nel mondo. Se lo faranno, il mondo conoscerà finalmente
una stagione non di pace totale, ma di maggiore
tranquillità”.
Il ruolo delle religioni in uno
spazio civico, oltre che collettivo, è al centro di un
dibattito vivo in Europa e in alcuni casi reso difficile da molte
chiusure. In Francia si discute ancora
sull’opportunità dei segni religiosi nei settori
di competenza dello Stato..
“Sì,
è senza dubbio una situazione difficile. La
realtà francese va trattata come un caso particolare,
condizionato da tradizioni che - più che laiche - chiamerei
laiciste. In linea generale, direi che occorre buon senso. Sono
indubbiamente inaccettabili da una parte certi atteggiamenti di
fondamentalismo, diffusi in una parte del mondo islamico, per cui
l’affermazione della propria religione comporta una negazione
del valore degli altri. Si ritiene di possedere la verità e
dunque di poterla imporre. L’atteggiamento del cristiano di
fronte al fondamentalismo è nettamente diverso: egli non
possiede la verità, ma ne è posseduto. E dunque
invita tutti a lasciarsi possedere da questa verità che
è Dio stesso: una verità di misericordia, di
accettazione, di perdono, di accoglienza. L’altro
atteggiamento inaccettabile è quello di un certo tipo di
laicismo, che afferma che la religione è un fatto privato e
che lo spazio pubblico e civile non è aperto a faccenduole
dell’anima e del cuore quali sono gli eventi religiosi
riservati alle persone…E’ la ragione pubblica la
loro ragione: sostanzialmente, la ragione dei moderni. Siamo davanti
non all’affermazione di principi di laicità, ma
piuttosto di un certo tipo di laicismo che definirei
vecchio”.
Intanto, anche in Italia ha
suscitato polemiche l’invito di papa Benedetto XVI
all’obiezione di coscienza rispetto alla vendita di farmaci
che negano la vita.. La crisi tocca anche questo Paese?
“Esattamente, è
una situazione che investe anche l’Italia. Toccare il filo
del principio di laicità al giorno d’oggi
è toccare la corda più delicata nella gestione
della vita democratica dei nostri paesi, soprattutto dei paesi
occidentali”.
Quale laicità vorrebbe?
“Il
principio di laicità è un principio cristiano,
che purtroppo durante la Rivoluzione francese fu venduto dai francesi
come loro, un po’ derogandolo. Il principio di
laicità nasce con Gesù Cristo, che dice
“date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio
quel che è di Dio”. E nella prospettiva cristiana
del principio di laicità, lo spazio religioso e quello
civile non devono combattersi e essere l’uno la negazione
dell’altro, ma devono collaborare per la promozione
dell’uomo”.
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2 NOVEMBRE
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Cronaca di Roberta Leone
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Ore
9.00. Dopo un primo giorno tutto teso alla ricerca “della
vera e perfetta letizia”, dei fondamenti di una esistenza
pacifica e capace di una relazionalità positiva, per il
convegno Giovani verso Assisi oggi è la volta della
dimensione “sociale” della pace. Il racconto scelto
a icona dell’argomento, con la celebrazione delle Lodi del
mattino, è uno degli episodi più noti della vita
di San Francesco: la cacciata dei diavoli dalle mura aretine.
L’esempio del Santo - operatore di pace in una
collettività evidentemente angustiata dai mali di un regime
di convivenza degenere - porta la riflessione del giorno su un piano
sempre più concretamente aperto alla dimensione di impegno
civile per la pace.
La discussione è affidata all’intervento
di due testimoni d’eccezione, Francesco Giorgino -
giornalista Rai e firma di spicco della Rivista del frati del Sacro
Convento – e fr. Danilo Salezze, presidente della Commissione
Salvaguardia del Creato. Nell’intervento del giornalista, la
necessità di una connotazione etica della pace contro i mali
del relativismo e il monito da un’apatia che immobilizza il
giusto slancio di impegno civile. “La pace – ha
detto - deve essere intrecciata, nella sua prospettiva semantica, con
altre parole che assumono per noi cristiani un significato addirittura
più forte, perché a fondamento di questa stessa
parola: carità e giustizia”. In particolare,
Giorgino richiama l’attenzione a “quella concezione
della giustizia che fa coincidere la medesima con il fine sociale - o
fine ultimo - della società, e che dà il via a
ulteriori considerazioni che portano verso una concezione
solidaristica, necessaria perché si crei il presupposto
stesso della pace. Coniugando la parola pace a giustizia e
carità, questa comincia a caricarsi di una dimensione etica.
La pace comincia a delinearsi nella percezione collettiva come un
valore”.
D’altra parte, il tempo presente lascia osservare chiaramente
i caratteri di contraddittorietà che lo attraversano, primo
fra tutti quel “relativismo etico” denunciato da
papa Benedetto XVI, che permette l’aggettivazione della pace
in modalità a volte contrastanti, sicché non
è raro sentire parlare di guerra
“giusta”, “preventiva”,
addirittura “etica”. E ancora, l’aumento
della soglia di liceità nei comportamenti sociali, la
negazione del peccato, il “presentismo” di chi vive
in assenza di memoria e senza speranze per il futuro,
l’apatia nell’adesione alla fede, una
consapevolezza errata della reversibilità delle scelte, il
distaccamento della famiglia dallo status di sistema di valori: come
nella Arezzo ai tempi di Francesco, anche oggi una serie di mali
angustia le nostre città. La risposta arriva dal magistero
di papa Benedetto XVI – dal messaggio “La persona
umana, cuore della pace”, datato 1 gennaio 2007 –
“non può esserci una pace esterna se non
c’è una dinamica che risolva il conflitto
interiore in chiave etica.” In altre parole, la religione -
fatto intimamente individuale e insieme collettivo - è
chiamata ad una nuova stagione di impegno e di ruolo civile. E su
questo impegno si giocano le sorti della pace.
Con l’intervento di fr. Danilo Salezze,
l’attenzione va alla dimensione francescana della beatitudine
di chi è operatore di pace e parte
dall’interrogativo su come il Santo di Assisi vorrebbe vivere
la speranza, che si traduce nel costruire pace. La risposta
è nella ricerca di unità con tutti gli esseri
simili e con il creato, perché in unità con il
Padre. E’, inevitabilmente, nel riconoscere
nell’umanità un universo di ferite e di bisogno
della consolazione dal Padre. In questo senso, l’operatore di
pace è un “mediatore della
consolazione”. Citando Etty Hillesum, p. Salezze ricorda che
“si vorrebbe essere balsamo per molte ferite”.
“Chi di noi – chiede - non vorrebbe esserlo? Quando
cominciamo a vedere le ferite degli altri, non ci limitiamo
più all’idea della pace come un semplice fare:
dare la pace ci coinvolge in un’altra maniera. Quando nella
liturgia si dice “scambiatevi un segno di pace”,
lì, in quel momento, si riassume tutto il significato di
quel che celebriamo sull’altare,di quel che celebriamo nella
vita: ci si dice “diventa mediatore della consolazione di Dio
per la ferita tua e di tuo fratello”.
Terminate le relazioni, la
riflessione si sposta ora nei gruppi di interesse sparsi nelle aule del
Sacro Convento. Nel pomeriggio, alle 18:00, la Celebrazione
eucaristica presieduta da p. Piemontese, ministro provinciale
di Puglia. Dopo cena, nelle due Basiliche, una lunga celebrazione
penitenziale chiuderà la giornata. Segno di ringraziamento
per il sacramento celebrato un nastro bianco, che i ragazzi
saranno invitati a legare intorno alle piantine d’ulivo
collocate ai piedi della Tomba di San Francesco.
Per Ilaria - 23 anni, di Pordenone -
“molto intensa e ricca di argomenti” la relazione
di Francesco Giorgino: “tutte tematiche importanti, che
sarebbe stato bello diluire in più tempo. Dalla sua
testimonianza di giornalista porto con me la consapevolezza che nella
realtà di tutti i giorni sarà impegnativo cercare
di essere testimoni di pace, ammettere di voler esserlo sia con se
stessi, sia con coloro che non la pensano come noi”.
Francesca - 21 anni, di Roma - ci parla di una “giornata di
riflessione e approfondimento particolare, sia per le parole di
Giorgino - che ha toccato autorevolmente una serie di aspetti
importanti per crescere nell’impegno per la pace –
sia per il racconto di p. Salezze, che ci ha illustrato in modo molto
concreto la prospettiva di San Francesco nel vivere la ricerca della
pace”.
“Per me – ci
racconta Paola, 20 anni – quello della pace è un
tema senza dubbio complesso, perché la stessa parola pace
– ce lo ha ricordato Francesco Giorgino nel suo intervento -
può avere una connotazione sia positiva che negativa. Il
fatto stesso di essere “operatori di pace” per
definizione è una scelta impegnativa e, sotto alcuni
aspetti, complicata. Ho trovato molto interessanti le parole di
Giorgino: si è addentrato con profondità
nell’argomento, cercando al tempo stesso di contestualizzare
idee e contenuti nella moltitudine di ingiustizie che vediamo nel
mondo. Il fatto che sia giornalista gli dà una cultura che
ha permesso anche a noi di ampliare un po’ gli
orizzonti”. “Giorgino – le diciamo
– ha parlato di un’apatia, presente tra i
cristiani, capace di effetti più dannosi di quelli di una
cultura atea: cosa ne pensi?” “Sono
d’accordo” è la sua risposta. E
continua: “Mi hanno detto che nella vita bisogna cercare di
vivere, non di sopravvivere: in questo senso, l’apatia
è un grande pericolo, perché non si ha lo spirito
di andare avanti, continuare a studiare e informarsi. Trovo
che questo sia fondamentale specialmente per i giovani,
perché non si può essere veri operatori di pace
se non si ha in sé la voglia di camminare e cercare
sempre”.
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3 NOVEMBRE
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Cronaca di Francesca
Fialdini - Roberta Leone
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09.00-13.00
Un appuntamento diverso, fra le colonne del Duomo di San Rufino
piuttosto che nella Basilica di San Francesco. Un modo per ripercorrere
simbolicamente i gesti del Santo che, rinunciando alla
paternità di Bernardone, si fece benedire dal vescovo Guido
per intraprendere la sua nuova vita. Oggi anche i ragazzi del Convegno
Nazionale dei Giovani verso Assisi, partecipando alla celebrazione
eucaristica, hanno ricevuto da mons. Domenico Sorrentino, attuale
vescovo della città, una speciale benedizione e il mandato
ad essere evangelizzatori dei loro coetanei, raggiungendoli nei luoghi
della quotidianità e della festa senza vergogna di dirsi
cristiani, parte di una piccola comunità sparsa di fedeli
che nel mondo conosce la persecuzione e le ostilità delle
ideologie post-moderne.
Proprio
alla testimonianza e al coraggio mostrato da alcuni martiri del nostro
tempo, i giovani hanno prestato ascolto e attenzione, prima grazie alla
riflessione di Maddalena Santoro, sorella di don Andrea, ucciso il 5
febbraio 2006 a Trabzon, in Turchia, dalla mano di un giovane
musulmano. Poi attraverso le parole di un coetaneo libanese,
invitato da frate Cesàr Essayan a raccontare come vivono i
cristiani in un contesto pluriconfessionale; in un paese ancora
traumatizzato dalla guerra e diviso da fazioni politiche spesso legate
ad interessi sovranazionali. Sia nell’uno come
nell’altro caso, i giovani sono stati sollecitati a porsi
domande mature, relative ad un cammino di discernimento personale
aperto alla conoscenza dell’alterità, vista come
opportunità missionaria e occasione di conoscenza diventando
ponte fra culture diverse.
E i ragazzi raccolgono la sfida,
niente affatto spaventati dalle differenze e dalla distanza che li
separa dai mondi di cui hanno sentito parlare al mattino. Ci fermiamo a
parlare con alcuni di loro, chiediamo cosa vuol dire confrontarsi con
realtà come quelle turca e libanese. “Sono
realmente distanti? C’è un modo di
avvicinarle?” “Come ci hanno detto oggi i nostri
testimoni – risponde Paola, friulana di Maniago -
il bello è anche nella diversità. Noi
cristiani non dobbiamo pensare di dover convertire i musulmani o
viceversa. Non è giusto. Il bello sta nel saper vivere la
diversità e nell’accogliersi reciprocamente,
mantenere una propria individualità e apprezzare quanto gli
altri hanno di bello e di buono. Per questo è importante
farsi conoscere e conoscere anche altre realtà”.
Il momento per
scambiare idee e impressioni su questi argomenti e quelli emersi nei
giorni precedenti, è giunto nel pomeriggio quando, a partire
dalle 16.00, i ragazzi si sono divisi in gruppi regionali presso luoghi
tipici della città di Assisi come le aule del Sacro Convento
o alcune sedi parrocchiali del centro. Poi la celebrazione dei Vespri e
la serata di fraternità presso lo stabile “Umbria
Fiere” di Bastia Umbra.
Termina dunque con una grande festa
in pieno stile francescano l’ultima sera di convegno. E tra
luci, musica dal vivo e frati e suore sparsi qua e là per il
palco, lo spazio per “divertirsi pensando” non
manca. Tanto che si può cantare a squarciagola Rewind (chi
non conosce questo pezzo di Vasco di qualche anno fa??) e rendersi
conto che il rischio di pensare solo al proprio assoluto, frenetico
godimento è di non riuscire a vedere l’altro se
non con “lo scorrimento lento”. Al termine della
serata Roberto – 19 anni, da Massa, – ci dice:
“Porto via con me una ricarica spirituale, ogni tanto bisogna
farne. Assisi è una città particolare: quando si
arriva ci si scopre abbastanza aridi, poi si va via come un terreno
umidificato”. Gli chiediamo di dirci le parole più
belle tra quelle ascoltate in questi giorni: “Stranamente
è l’interpretazione di questa sera di
“Rewind” - la canzone di Vasco – quella
che ricorderò di più. Perché ha
racchiuso in modo moderno il significato di quel che Assisi
può dare: il capovolgimento di tutte le false opinioni.
Anche questo aiuta ad essere operatori di pace. Per quel che mi
riguarda, cercherò di impegnarmi per la pace nella vita
quotidiana, partendo dalle cose più piccole. Forse,
dall’apparecchiare la tavola per la mamma questa
sera…”
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Intervista a mons. Domenico
Sorrentino
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Intervista
a Mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo
Tadino
di
Roberta Leone
Mons. Sorrentino, nel mondo
c’è una grande richiesta di pace.
D’altra parte sembra che le religioni vengano percepite come
causa di conflitto. E’ una contraddizione? Come risolverla?
“Bisogna che si prenda sul serio l’impegno
religioso: dove esso porta veramente a Dio, lì nasce anche
la pace, perché Dio è amore ed è pace.
Qualche volta l’impegno religioso resta superficiale o per
mancanza di illuminazione - perché non si sa veramente chi
sia il Signore e come lo si debba adorare – oppure
perché le circostanze portano in una direzione
più leggera e superficiale. E allora sì, ci
può essere il pericolo che la religione diventi non
strumento di pace, ma occasione di guerra. Grazie a Dio, quello che si
vede in questi ultimi decenni è incoraggiante.
C’è un gran bisogno di incontro: quello che
è avvenuto qui ad Assisi venti anni fa con Giovanni Paolo II
e che ha fatto scaturire ciò che chiamiamo lo
“spirito di Assisi” è un grande segno di
speranza. Si può convivere nella pace e
nell’amore, ci si può e ci si deve ascoltare.
Naturalmente, bisogna che ognuno sia un testimone fedele: noi cristiani
abbiamo il dovere di annunciare a tutti che questo Dio della pace e
dell’amore è il Dio che si è fatto
carne in Gesù. E accoglierlo nella nostra vita non
è mai occasione di guerra o di ostilità: al
contrario, è la premessa di una pace più
grande”.
Ha spesso parlato di
un’Europa che perde sempre più il legame con le
radici cristiane. La nostra è veramente una
società civile se il diritto al culto è sempre
meno considerato un diritto umano e civile?
“Dove
non si rispetta l’anelito religioso profondo
dell’uomo, dove non si dà spazio alla dimensione
religiosa, fatalmente ci si condanna a una convivenza più
povera, perché la dimensione religiosa è quanto
di più alto possa esserci perché l’uomo
possa essere fino in fondo se stesso. Naturalmente, una
società con una convivenza plurale, ricca di culture e di
religioni, deve imparare anche la logica del rispetto, ma questa non
può essere la logica di una secolarità che
dimentica l’aspirazione religiosa dell’uomo e il
suo diritto a incontrarsi con Dio e a vivere di Dio anche nelle
manifestazioni pubbliche della vita sociale”.
Da vescovo italiano, quale
spazio di impegno civile vede possibile per i cattolici del nostro
Paese?
“Dobbiamo
essere molto coerenti e anche coraggiosi, direi fiduciosi nella
testimonianza cristiana. Sappiamo che la testimonianza cristiana
risponde alle esigenze profonde dell’uomo. Potremmo essere
per un momento storico - più o meno prolungato - non capiti
in questo. Dobbiamo credere profondamente che quando presentiamo le
esigenze evangeliche non presentiamo le esigenze di una parte. Facciamo
la difesa profonda dell’uomo per quello che l’uomo
è. Lo si capirà forse più tardi. Non
è la prima volta, nella storia, che il Cristianesimo
è stato mal capito, male interpretato. Certamente, da parte
nostra dobbiamo essere molto attenti, molto garbati, sempre rispettosi
nel dire le ragioni del Vangelo come ragioni profondamente umane.
Dobbiamo evitare ogni tentazione di presentarci con arroganza. Qui
Francesco ci insegna a presentarci con la mitezza evangelica. Questo
è lo stile vincente”.
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4 NOVEMBRE
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Cronaca di Roberta Leone
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8.30. La Basilica Superiore di San
Francesco è pronta ad accogliere i giovani convegnisti per
l’ultimo incontro in calendario al 28° Convegno
Giovani verso Assisi: come ogni anno, è con una celebrazione
eucaristica presieduta dal Ministro Generale dell’Ordine dei
frati minori conventuali e con la consegna del mandato missionario che
i giovani lasciano la città del Poverello per tornare alle
proprie comunità. Quest’anno
l’appuntamento porta la novità di un nuovo
ministro generale – fr. Marco Tasca, eletto il 27 maggio
scorso – che parlando dell’episodio di Zaccheo,
pubblicano chiamato da Cristo, ha rivolto ai giovani queste parole:
“essere operatori di pace non vuol dire partire
dall’essere «a posto»: Zaccheo
è un pubblicano attaccato al denaro, è un
peccatore. Quando nella Bibbia si parla di peccato, si pensa ad un
aspetto particolare, che è “fallire il
bersaglio”. Al di là dei
“peccati” che si fanno, “il
peccato” è allora fallire il bersaglio, mirare
cioè in modo sbagliato. Il punto è chiedersi cosa
distoglie la nostra attenzione, qual è il bersaglio a cui
miriamo”. Di contro, il racconto di Zaccheo parla di un Dio
che, a dispetto di ogni resistenza, cerca l’uomo e lo chiama
per nome. Qui, il problema – ammonisce fr. Marco Tasca -
è “fidarsi, lasciarsi raggiungere, consapevoli che
solo Dio sa quello che è bene per me”.
Infine, il racconto di Zaccheo è il paradigma
dell’apertura giusta e responsabile all’altro,
libera dai rischi di una fede personalistica: l’uomo che
Cristo chiama è un pubblicano che restituisce quattro volte
tanto alle persone di cui ha approfittato. Allora,
“è un vero operatore di pace chi centra bene il
bersaglio, chi si fida del Signore - che sa quello che è
bene per lui-, è operatore di pace chi sa tessere nuovi
rapporti con gli altri. San Francesco e i nostri santi ci aiutino e
intercedano per noi”. Al termine della celebrazione, la
consegna del mandato: un rosario in più colori, a ricordare
la missionarietà della vocazione della Chiesa e la
necessità di un’adesione piena dei cristiani ad
essere operatori di pace nella preghiera e nella testimonianza.
A conclusione del convegno, sono tante le riflessioni da portare con
sé, spesso affidate a qualche appunto sparso nel quaderno di
viaggio. Mary, 22 anni da Pordenone, ci dice “Sul mio
taccuino ho raccolto tanti stimoli, nati dalla preghiera e dalle parole
dei relatori di questi giorni, da p. Salezze a Francesco Giorgino, a
Maddalena Santoro, a Mario, il ragazzo venuto dal Libano. Ho scritto
tutte le volte che ho sentito, nella loro testimonianza, parole
potevano riguardarmi. Ogni incontro, ogni relazione dà
qualcosa che ti tocca personalmente, che senti ti servirà
per continuare il cammino. Naturalmente, è stato bello
ascoltare gli interventi e le parole di questi giorni, ma è
altrettanto importante saperli conservare per esprimerle al
meglio”.
Le chiediamo con quale impegno partirà da Assisi.
“E’ certamente un impegno importante – ci
risponde - quello di trovare il proprio modo per essere realmente
operatori di pace: che la strada sia facile o difficile è un
fatto soggettivo, ma trovare il modo “vero” per
diventare costruttori di pace - nella vita concreta, nella
quotidianità anche al di fuori dei nostri ambienti
parrocchiali - è certamente l’obiettivo da
seguire”.
Michele, 24 anni, marchigiano di Grottammare, è al suo
ottavo anno di Convegno GvA, da cinque anni in servizio nel coro.
Raccontandoci il suo servizio, ci dice: “Partecipare al
Convegno e farlo offrendo un servizio nel coro è fantastico,
perché si ha l’opportunità di pregare
cantando e far pregare i ragazzi che vengono al Convegno. E’
un esperienza fuori dal comune, perché sei a contatto con
ragazzi da tutta Italia, che vedi solo in quei giorni. Al mio ottavo
anno di partecipazione a Giovani verso Assisi potrei quasi dire che ho
tanti amici nel Convegno quanti ne ho nel mio paese”.
Riguardo al tema di quest’anno, posso dire che essere
operatori di pace è un bel problema! In altre parole, non
è semplice, lo abbiamo capito da questi giorni di
riflessione. Ma è un impegno entusiasmante e soprattutto
possibile, perché alla scuola di Gesù e di
Francesco tutti possiamo essere autentici operatori di pace. Quindi,
bisogna solo affidarsi e darsi da fare”.
C’è poi qualcuno che in cuor suo già
parte deciso a far seguire una scelta all’esperienza di
questi giorni. Monica - 34 anni di Imola – dice:
“per quanto mi riguarda, vorrei far fruttare sul lavoro
questa esperienza. Ho già cominciato a fare delle scelte in
questo senso e spero che abbiano un seguito, con l’impegno in
un lavoro che sia di aiuto concreto per gli altri. Leggere il Vangelo
può essere facile, ma è certamente impegnativo
portarlo e viverlo sul lavoro, che è la realtà
che ci impegna di più e in cui spendiamo la maggior parte
del nostro tempo ogni giorno. Questo convegno mi ha dato la conferma
che le scelte appena fatte sono il meglio per me”.
E come in tutte le partenze, non resta che salutarsi.. E dunque:
a tutti i 2000 giovani di questo 28° Convegno Giovani verso
Assisi,
ai 170 frati minori conventuali provenienti da tutte le province
italiane
alle 58 suore
ai 5 relatori
agli 84 coristi
ai 18 musicisti
ai 28 volontari della Basilica di San Francesco in Assisi,
Il Signore vi dia la pace! |
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